Al contrario degli anni passati, in cui The Walking Dead e i serial supereroistici di casa CW l’avevano fatta da padrona, l’edizione appena conclusa del Lucca Comics and Games ha acceso i suoi riflettori sulla serie britannica Doctor Who, dedicandogli numerosi eventi e conferenze. Alla manifestazione lucchese hanno preso parte lo sceneggiatore Jamie Mathieson, autore di alcuni dei migliori episodi delle ultime due stagioni del telefilm, e lo showrunner Steven Moffat, creatore tra gli altri anche del celebre Sherlock, con i quali abbiamo avuto modo di parlare durante una tavola rotonda venerdì 30 ottobre. Ecco quanto emerso dal botta e risposta con i giornalisti presenti.

Iniziamo con una domanda per Jamie. Qual è stato il tuo approccio alla scrittura di Doctor Who? Come ti sei avvicinato al personaggio?

Jamie Mathieson: Non sono partito tanto dal personaggio quanto dal trovare un buon concept per l’episodio, un’ottima ambientazione e un degno avversario per il protagonista. Il mio ingresso nel team di Doctor Who è abbastanza recente, sono salito a bordo del carrozzone prima dell’inizio dell’ottava stagione, e in quel momento Peter Capaldi non era ancora stato scelto come nuovo volto del Dottore. Quando ho cominciato a scrivere Flatline, di cui ho realizzato tre bozze prima che il soggetto fosse approvato, il mio Dottore di riferimento era Matt Smith, ma appena ho letto le prime indicazioni sulla nuova rigenerazione del Signore del Tempo ho caratterizzato il personaggio come fosse il Gregory House di Dr. House – Medical Division.

Steven, da sempre i fan sono una razza difficile da accontentare. Recentemente, molti di loro si sono lamentati dell’introduzione degli occhiali sonici di Capaldi, che hanno momentaneamente sostituito il celebre cacciavite presente sin dalla serie classica. Quanto è difficile far evolvere la figura del Dottore cercando allo stesso tempo di accontentare gli spettatori?

Steven Moffat: Noi non possiamo scrivere per i fan, anche perché non ce n’è uno solo, ce ne sono tanti. Se cercassimo di accontentare i fan avremmo un audience di circa sette, ottomila persone, ne abbiamo uno di settantasette milioni perché siamo consapevoli che il fandom è una piccola parte di questo gruppo, e quelli che si fanno sentire su internet sono ancora meno. Una delle cose che chiedo sempre ai miei autori è di non andare mai sui social a leggere quello che viene scritto del loro lavoro, perché ciò significherebbe ascoltare una voce sbagliata e distorta. Io stesso sono un grandissimo fan di Doctor Who, la mia competenza sulla continuity della serie è autistica, ma quando creo una sceneggiatura non scrivo per me o per quelli come me, scrivo per tutti gli altri.

J.: Anche perché, se dessimo ascolto ai fan della rete, ogni puntata di Doctor Who sarebbero 45 minuti di David Tennant e Billie Piper che si baciano!

Tra i vari programmi satelliti che si sono avvicendati nel corso degli anni, Doctor Who ne ha avuto uno che analizzava la scienza presente all’interno dello show, il The Science of Doctor Who condotto dal fisico Brian Cox. Quanto la scienza reale viene presa in considerazione nella scrittura degli episodi del Dottore?

S.: Penso che la scienza presente in Doctor Who siamo molto più reale di quella di cui parla Brian Cox. Cioè, stiamo parlando del Dottore… Lui è un Signore del Tempo, ha due cuori, viaggia a bordo di una macchina del tempo… E Brian Cox? Ah ah ah, non credo proprio! Brian Cox è capace di rigenerarsi? No! Brian Cox ha mai salvato il pianeta? No! Se parliamo di scienza e di fisica, il verbo da seguire è quello del Dottore! A parte gli scherzi, Brian è un grande amico e un uomo adorabile, è un grandissimo fan di Doctor Who e il suo show era davvero interessante.

Da Star Wars a Star Trek, sono molti i franchise fantascientifici che nonostante siano nati decenni addietro continuano a essere molto apprezzati e a venir riadattati per il pubblico di oggi. Quali sono le maggiori difficoltà per chi scrivere una serie come Doctor Who, in onda dal 1963, e quale pensate possa essere il segreto dietro il successo di una serie come questa?

S.: Star Wars e Star Trek? Mai sentite! Ah ah ah! Per quanto riguarda Doctor Who, se vuoi gestire una serie con così tanta storia alle spalle c’è solo una via da seguire: ignorare questa storia il più possibile, limitandosi a inserire ogni tanto dei punti fermi, dei brevi recap in cui viene raccontata la mitologia dello show per chi si è appena seduto davanti al televisore. Se decidiamo di reintrodurre qualcuno o qualcosa dal passato, ci assicuriamo sempre che questo ritorno sia chiaro per lo spettatore, anche se non ha visto le serie classiche. Doctor Who è pensato per poter essere iniziato a seguire da qualsiasi episodio, un po’ come avviene per i film di James Bond, la cui trama  è comprensibile anche senza aver visto le pellicole a essa precedenti. Flatline e Mummy on the Orient Express, i due episodi scritti da Jamie per l’ottava stagione, ne sono un ottimo esempio: puntate con nuovi mostri, nuove idee, ma con all’interno piccoli riferimenti al passato.

J.: Dopotutto, la percentuale di spettatori che potrebbe dire “no aspetta, nel ’76 avevate scritto una cosa che contraddice quest’altra” è molto bassa, per non dire bassissima.

S.: Uno di questi ce lo avete davanti, però! [si riferisce a se stesso, N.d.R.]

In questi mesi, si è più volte parlato di un possibile dottore donna per il futuro della serie. State realmente prendendo in considerazione questa idea?

S.: [l’espressione della sua faccia rende bene l’idea di quante volte gli sia stata posta questa domanda nell’ultimo periodo, N.d.R.] Non ci sono limiti a quello che potrebbe accadere al personaggio del Dottore. Potrebbe diventare una donna? Se avete seguito le ultime due stagioni dello show avrete sicuramente visto che all’interno della serie una cosa del genere è già successa [si riferisce a Missy, rigenerazione al femminile del Maestro, N.d.R.], quindi la mia idea al riguardo è molto chiara. Ci tengo a precisare che una donna potrebbe interpretare il Dottore solo se fosse la persona giusta per il ruolo, non la donna giusta.

Jamie, prima ci ha detto che il tuo ingresso nello staff di Doctor Who è stato relativamente recente. Sei riuscito a inserirti bene nel gruppo? Come è avere Steven Moffat come capo?

J.: Essere parte della famiglia di Doctor Who è fantastico, come è fantastico collaborare con Steven. La cosa che più mi ha sorpreso è stato il clima che c’è tra tutte le persone che lavorano alla serie. Lo sceneggiatore è un mestiere solitario, sei tu solo in una stanza che passi le ore a battere i tasti del pc davanti a uno schermo. Quindi, quando si tratta di incontrare Steven e gli altri, come il produttore Brian Minchin, per me significa avere la possibilità di confrontarmi con loro, buttare fuori idee, fare brainstorming insieme… Insomma, lavorare come normalmente non faccio. Quando scrivi, quello che non puoi assolutamente fare è preoccuparti degli ascolti. Anzi, spesso te ne dimentichi pure. Mi è capitato di andare su internet e di ricordarmi all’improvviso che lo show che stavo scrivendo è uno dei più seguiti al mondo. È un po’ come quell’aneddoto che racconta spesso Woody Allen, dove c’è lui che sta suonando il clarinetto in una stanza quando all’improvviso entra una persona che gli comunica che il suo ultimo film sta facendo incassi stellari, per poi uscire subito. Tu non ti accorgi neanche che qualcuno ti ha parlato, sei troppo preso da quello che stai facendo per rendertene conto. Scrivere è prima di tutto un’esperienza personale.

Nella remota possibilità che aveste tutto il tempo libero di questo mondo, c’è qualche altro programma, qualche altra serie degli ultimi anni che vi ha maggiormente colpito e di cui consigliereste la visione?

S.: Sicuramente Sherlock [ride parecchio, N.d.R.], è una serie eccezionale. Di recente ho visto Suits, che mi ha consigliato mio figlio, ho adorato Breaking Bad… Ne ho guardate davvero troppe, non riesco a ricordarmele tutte. Jamie, ti prego, dammi una mano!

J.: Sono d’accordo con Steven per quanto riguarda Breaking Bad, uno show magnifico. Ultimamente sono ossessionato da Rick and Morty, una serie animata statunitense in onda su Adult Swim. Inoltre, mi piace moltissimo WTF with Marc Maron, un podcast di comico americano davvero bravo.

S.: Consiglierei anche Line of Duty, scritto dal mio amico Jed Mercurio, Happy Valley, davvero uno show straordinario, e anche The Missing mi è piaciuto moltissimo.

Un’ultima domanda: è stato da poco annunciato il ritorno di due personaggi molto importanti per la recente storia di Doctor Who, ovvero l’Ashildr di Maisie Williams e la River Song di Alex Kingstone. Potete anticiparci qualcosa a riguardo?

S.: Del personaggio di Ashildr, introdotto nelle scorse puntante dello show, preferisco non anticiparvi niente. Per quanto riguarda River Song, avevo finito di scrivere l’attuale stagione ed ero molto, molto stanco, ancora indeciso se continuare o meno a lavorare su Doctor Who il prossimo anno. Quindi mi sono chiesto quale sarebbe stata la cosa che più di tutti avrei voluto riportare nella serie se questa fosse stata la mia ultima volta, e la risposta è stata River Song. È un grandissimo personaggio, adoro scriverla e anche Russell T. Davies mi ha detto spesso che avrei assolutamente dovuto farla interagire con Peter Capaldi in qualche modo. Pensateci bene… Le sopracciglia di Capaldi che si scontrano con la testa della Kingstone. Come mancare a questo appuntamento?