Massimo D’Alema a 9 anni metteva paura a Togliatti perché già si esprimeva da quadro del Partito Comunista (“Mi disse che non ero un bambino… ma un nano”). Leonardo Notte invece a 8 anni faceva già l’illusionista (si faceva chiamare Leonardo il Magnifico). È finita. Cosa? La seconda stagione della serie tv più nervosa, pericolosa e affascinante di Sky. Ma è finita anche la vita (di alcuni personaggi), l’inchiesta di Tangentopoli, la Prima Repubblica, la zona d’ombra che legava Notte al ’77 bolognese in cui si faceva chiamare Buio (ora è tutto in luce), l’ultima innocenza residua rimasta (il leghista Bosco tradisce il “nonno” futurista Miglio per il realista Bossi).

È finita una fase del viaggio di tanti personaggi: chi lascia finalmente la lotta (il poliziotto Pastore), chi capisce che lo show più redditizio è la politica e non più lo sgambettare in tv o il dimenarsi a letto (Veronica Castello vuole candidarsi con l’ormai nata Forza Italia; mica scema la ragazza), chi fa pace con traumi familiari (Giulia Castello e il fantasma della mamma), chi compie l’ennesima magia trasformista (Notte ritorna nel Pds per fotterli nuovamente), chi prova a dire no alla Mafia (i fratelli Mainaghi; ma è possibile?). È stata una seconda stagione a base di incubi, allucinazioni, spettri (il nostro preferito è quello di un Mainaghi Senior giocherellone di un grande Tommaso Ragno), meno sesso (Leonardo rinuncia a una serata “dinamica” con ex collega di Publitalia perché più interessato a leggere il vademecum del candidato perfetto di Forza Italia cui aveva lavorato egli stesso). La sensazione che abbiamo è di aver assistito a una seconda stagione molto bella, lucida (l’arroganza e la pura idiozia politica di un Pds rappresentato da colui che giustamente Travaglio ribattezzò per deriderlo “Max the Fox”).

1993 ci dice che tutti presero le mazzette di Tangentopoli, chi più chi più meno. E ci dice che l’avvertimento alla “consapevolezza” chiesta a gran voce dentro la classe politica del futuro da un signorile Francesco Saverio Borrelli di un sottile Giuseppe Cederna per evitare nella Seconda Repubblica gli errori della Prima… non fu minimamente presa in considerazione dai nostri “servitori dello Stato”. 1993 è una serie che fa male (e quindi viene rifiutata e anche motteggiata) semplicemente perché ci ha sempre detto, o sbattuto in faccia, la verità. La verità circa la falsa superiorità morale della sinistra, la “discesa in campo” di un Berlusconi all’epoca estremamente lucido, le bombe della Mafia e quell’Italia elettrica e passionale tanto lontana dalla depressione e nichilismo degli ultimi anni. Ma allo stesso tempo abbiamo avuto la percezione che questa stagione sia di transizione per un 1994 ancora più decisivo, a partire dal fatto che qualcuno vincerà quelle benedette elezioni assai evocate in questi 8 episodi.

I momenti migliori di episodio 7 e 8? Veronica Castello bravissima al provino collettivo per essere candidata per Forza Italia, Miglio che dice, come avrebbe fatto Marinetti, “La vita è un genocidio” e Bosco che infiamma un congresso leghista con nuova performance situazionista dopo il cappio alla Camera dei primi episodi. Attori? Accorsi (Notte), Caprino (Bosco) e Leone (Veronica Castello) su tutti con lei sempre più brava sia con parola, senza parola, con vestiti e senza vestiti. Miriam Leone è ormai ciò che si avvicina di più al concetto classico di star. Quest’attrice è, oggi, sempre più potente. Salutiamo invece Tea Falco, privata di parola e battute per 7 episodi e poi… privata anche di altro. È lei la “vittima” più illustre di 1993 dopo le tante polemiche e prese in giro per 1992. Vogliamo fare i complimenti a tutti i realizzatori per averci intrattenuto ad alti livelli fornendo una chiarissima chiave di lettura alle generazioni più giovani circa quello che accadde in quel bivio epocale del dopoguerra. Un bivio che avrebbe portato l’Italia dritta dritta all’inferno?

Può essere. In 1994, forse, vedremo l’accelerata definitiva.