Nella grande epica della stand up comedy che I’m Dying Up Here intende tracciare (ma anche fondare, visto che al momento non ne esiste una, i comici non hanno loro luoghi mitici, stereotipi, riti di passaggio obbligati o anche situazioni tipiche) non poteva mancare il momento della droga. Il setting, la musica, lo spettacolo, la pressione… Tutto sembra portare al consumo di droga per come lo intende la drammaturgia classica. Se infatti nella vita reale la droga è consumata più che altro per piacere, in tv e al cinema è consumata per necessità, è un cancello per qualcos’altro, un grimaldello per raccontare la fatica e l’inadeguatezza di chi la consuma, non il piacere nel consumarla (che invece è l’unico intento del consumo). Non a caso questa puntata si chiude con le immagini di Freaks di Tod Browning, il film sugli individui fallati per eccellenza.

Così in Girls Are Funny, Too la droga è il leit motiv di un episodio che ufficialmente, e fin dal titolo, gira intorno alla grande svolta promessa dalla serie, cioè raccontare il mondo della stand up comedy attraverso quello snodo particolare in cui le donne hanno cominciato a prendere il potere esplicitamente (ovvero la probabile parabola di Cassie), dopo anni in cui lo avevano avuto dietro le quinte (la backstory di Goldie), di come cioè una generazione ha preparato quella successiva ad ottenere quel che prima non era possibile.

Ma tutto passa per la droga qui, è quello il “tema”, introdotto dalle luci pastosissime che si divertono ad illuminare di prima mattina l’appartamento di Nick Beverly quando lo viene a trovare un importante promoter, mescolando l’idea del colloquio con l’estetica tipica da junkie house, cioè la casa del drogato (luoghi deserti illuminati male). Nick ha appena comprato dell’eroina vendendo il giubbotto di pelle che gli aveva regalato la madre, la sua ragazza invece ha comprato un televisore nuovo con i soldi che ha fatto con l’ospitata da Johnny Carson e adesso qualcuno lo vuole strappare a Goldie. Tutti sembrano sapere della sua dipendenza, inclusa Goldie, a nessuno importa molto.

Dall’altro lato Bill ha trovato un lavoretto quasi come sfida, e un po’ per dimenticare Cassie: venditore di pezzi d’auto assieme ad un “amico”, un altro comico bisognoso di un lavoro diurno per mantenere l’attività notturna. A loro tocca la droga leggera. Fumano e vanno a lavorare, non ci credono molto, non rispettano il lavoro che fanno, vogliono dimenticare, vogliono divertirsi, ridono e cercano di tirare uno su il morale dell’altro. Non è molto, obiettivamente. Girls Are Funny, Too, è uno degli episodi meno incisivi visti fino ad ora, uno in cui i difetti della serie emergono molto più dei suoi pregi.

Non è un caso che la sottotrama di Eddie e Ron suoni ancora di più un alleggerimento comico del solito, ancora più meccanico il suo inserimento tra un momento drammatico e l’altro (qui portano due ragazze fuori a cena ma si accorgono di non avere soldi a sufficienza, l’unica loro salvezza è accettare una sfida del locale, ingozzarsi di ali di pollo piccanti in meno di 15 minuti così da non pagarle, alla fine ovviamente non le porteranno a letto). Viene sempre più da chiedersi a cosa serva un alleggerimento comico in una serie sui comici, cioè in una serie in cui ogni puntata è necessariamente puntellata di battute, fosse anche solo per mostrare cosa fanno i protagonisti.

Con una gran fatica Girls Are Funny, Too cerca di amalgamare storie che sembrano qui più che mai non omogenee e molto distanti le une dalle altre.

Dunque la puntata si apre con un montaggione in stile Paul Thomas Anderson, in cui tanti personaggi diversi guardano la stessa cosa in tv, cioè Nick Beverly nella sua occasione da Carson, e poi finisce con un altro montaggione di diversi momenti difficili, diversi demoni sconfitti ognuno a modo proprio, da chi si droga a chi beve, tutti guardando in tv Freaks. La scena è quella più famosa del film, quella in cui la protagonista, assunta nel circo e diventata per scherzo amica dei freak (deformi, nani, mutilati e fenomeni da baraccone in genere) viene da loro accettata con una cerimonia che la spaventa, perché tutti in coro cominciano a dire tra il gioioso e minaccioso: “Una di noi! Una di noi! Una di noi!”.

Con questo leggerissimo accostamento I’m Dying Up Here suggerisce che i comici sono tutti dei freak a modo loro, esseri umani fallati, ognuno con problemi da sormontare, con demoni interiori da sconfiggere, nessuno davvero equilibrato o normale.

Allora forse l’unico scampolo di serietà è affidato a Cassie e alla sua lotta femminista, sempre di più ancora di salvezza della serie, l’unico segmento mai banale o manicheo. Lungi dall’essere solo una donna in difficoltà, Cassie esplora tutte le dimensioni in cui il suo sesso la mette in difficoltà. Qui deve lottare per emergere in uno spettacolo per il quale sarà pagata meno del pattuito (non è un uomo), sarà presa in giro dal pubblico per essere donna e alla fine ci sarà un tentativo di molestie. Non solo, ad un livello più alto, sarà anche scelta per partecipare a Girls Are Funny, Too, il programma di comici femminili. Era quello che voleva ma Goldie l’aveva sconsigliata, giudicandola non ancora pronta e a rischio di bruciarsi. Invece è la stessa Goldie a comunicarle che è stata presa dal network, ma che dovrà essere carina. È stata presa perché è bella e non per le sue battute.