In occasione dell’uscita della terza stagione di Gomorra in Dvd e Blu-ray prevista per oggi 12 Settembre, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Cristina Donadio, interprete del personaggio di Annalisa Magliocca, meglio nota come Scianel.

Qual è il tuo primo ricordo legato alle prime scene girate per Gomorra? C’è qualcosa che ti ha colpito fin da subito della produzione?

Entrando nella seconda stagione di Gomorra ero già una fan accanita. E nel momento in cui ho avuto la grande opportunità di poter interpretare un personaggio come Scianel è stato il massimo che potessi chiedere. Da fan di Gomorra, e come attrice, entri in qualcosa che segui come spettatrice ed è una bellissima sensazione. E interpretare una donna come Scianel è stato quanto di meglio potessi sperare. Ciò che mi ha colpito è stata questa grandissima squadra, una macchina da guerra, a partire dal vertice e fino alla base, in cui ognuno è responsabile e può prendersi parte del merito di questo successo internazionale.

Chiunque abbia partecipato a Gomorra, in qualsiasi tipo di ruolo, ha messo la sua. Una grande dedizione, un grande amore, una grande fatica. La cosa che mi ha colpito di più è stata proprio la fatica. Perché questa è una produzione che è girata in un certo modo e non che non si risparmia in nulla. Bisogna lavorare, darci dentro, fare le notti.

Mi ricordo a volte, nella seconda stagione, con alcune puntate dirette da Stefano Sollima, che arrivavamo magari alle sei del mattino, felici di quel che avevamo fatto, anche se distrutti, e lui ancora diceva: “vorrei fare un’altra inquadratura”, perché aveva avuto un’altra idea geniale. Non ho mai visto, nonostante la fatica generale, qualcuno che guardasse l’orologio. Questo dà l’idea di come il successo di Gomorra sia un successo di squadra. Certo, gli attori sono delle facce, ma dietro ogni faccia, ad ogni personaggio e inquadratura c’è un mondo.

Gomorra è una serie capace di valorizzare i personaggi femminili. Nel caso specifico di Scianel, cosa ti ha colpito?

Credo che non ci fosse mai stato nella serialità italiana, ma anche nella televisione italiana in generale, un personaggio come Scianel. Così particolarmente fuori da ogni schema. Scianel è un misto di tante cose, di ferocia, di intelligenza, di strategia, di follia, di solitudine. Era tanta roba. E quando mi hanno offerto di fare questo personaggio era ancora una materia grezza. Aveva solo un nome: Scianel. E già partire con un personaggio che si chiama Scianel (scritto S-C-I-A-N-E-L), ti apre un mondo. Lo ripeterò sempre, ho avuto la libertà totale di prendere questa materia grezza e di farne uscire un personaggio.

Sono andata a scavare nei miei demoni, perché è un personaggio così articolato che non puoi fare a meno di considerarlo un archetipo e scavare dentro di te per trovare quelle cose che apparentemente sono appena visibili ma che raccontano un modo di essere. Qualcosa che le permetta di esistere in un mondo di uomini feroci. Quando una donna decide di mettersi alla pari in un sistema composto da uomini, in qualunque campo esso sia – parliamo di camorra, ma potremmo parlare di grande industria – una donna deve essere molto più determinata e feroce. In un sistema come quello della malavita organizzata, questo significa essere davvero tremende.

Scianel non ha bisogno di mettere in atto seduzioni, o dinamiche femminili. Anzi, il suo stesso abbigliamento è poco femminile, è come se indossasse una divisa per andare a lavoro. È una combattente. Quella tuta che lei indossa, come la indossa, come ci cammina dentro, sono tutti modi per scendere in guerra. Combatte con le armi dell’intelligenza.

A proposito di archetipi, come hai costruito il tuo personaggio? Quali sono stati i tuoi riferimenti?

Scianel è fatta di dettagli. Ho avuto la libertà totale di immaginare anche come camminasse. Sono partita dalle sue caratteristiche: lei è una fumatrice, e una giocatrice di poker. Sembrano accessori, ma non lo sono. Una giocatrice di poker lavora di strategia, è più pronta ad ascoltare che a parlare. Deve giocare più con le carte degli altri che con le proprie, immaginando sempre cosa ha di fronte. Questo mi è servito per creare e per essere il personaggio Scianel. Prima lo crei, poi lo fai a pezzi, poi lo mangi e diventa tua carne, tuo sguardo, tuo gesto. È un lavoro al quale sono abituata, essendo un’attrice di teatro, è la modalità con cui affronto ogni tipo di personaggio che porto in scena.

Tornando all’archetipo, avevo davanti soprattutto Clitennestra, anche perché l’ho interpretata a teatro, ma anche Lady Macbeth. Sono donne che sono la personificazione del male, con le varie differenze. Clitennestra diventa un’assassina e una donna spietata che arriverà ad uccidere Agamennone, anche se non lo fa per il potere, ma perché si sente tradita nell’onore, nell’amore, nella famiglia. Tutte cose che però, archetipicamente, sono presenti anche in un sistema come la camorra: l’appartenenza, l’onore, la famiglia. Avevo un mare in cui affondare e prendere a piene mani, e l’ho fatto perché, secondo me, se avessi considerato Scianel solo come una camorrista avrei rischiato di farne un personaggio un po’ macchiettistico. Il limite era molto sottile. Affrontare il personaggio archetipicamente ti dà la giusta distanza per poter andare in profondità, ma anche viverlo dall’esterno, perché è qualcosa che portiamo con noi. È qualcosa da cui riusciamo anche a distaccarci, dopo averlo portato dentro.

È stato un lavoro molto bello, profondo, sottile. Tutto quello che forma Scianel alla fine è venuto poi fuori in maniera naturale. A partire dai polpastrelli della mano destra, mani fatte per fumare, per tenere le carte da poker… Questo è il grande pregio della serialità. In un film un attore ha circa due ore per formare sullo schermo il personaggio, e in quelle due ore ha un tempo limitato, mentre nella serialità un attore ha dodici puntate per poter giocare sulle piccole cose. Allora, quel gesto, che magari la prima volta passa inosservato, se tu lo ripeti per quattro, cinque, sei puntate, allora viene fuori come se fosse un film. Questo è il regalo più grande che ho avuto, come Scianel.

Poi ho abbassato la voce di tre toni. A questo proposito sicuramente anche Scianel ha delle frasi topiche come: “Na pantera è bella assai ma nun conta nu cazz’, invece miezz’e iene a cummannà song ‘e femmene” Ma più che le frasi è il suo modo di stare, quando gioca a carte, ma anche quando cammina. Io amo molto ad esempio la prima immagine in assoluto della seconda stagione, quando per la prima volta si vede Scianel che attraversa un pezzo di strada per andare a incontrare gli altri con la sua borsa piena di soldi. Con quella camminata, sapendo che era la prima inquadratura di Scianel, sapevo di dover rappresentare tutto. Forse è l’inquadratura più complicata, perché è l’entrata in scena, come a teatro. Bisogna farlo nella maniera giusta, e allora gran parte del lavoro è fatto.

Gomorra – La serie è ormai è un prodotto che ha una propria identità rispetto al testo di Saviano e al film di Garrone. In che modo la serialità può favorire il racconto di un contesto e della storia?

Allora, serie, film e libro usano linguaggi diversi, chiaramente. Alla base c’è una stessa materia che purtroppo fa capo alla realtà. Dobbiamo essere grati a Roberto Saviano per aver squarciato un velo (o una coperta) con il suo libro che è diventato un bestseller mondiale, quindi grande riconoscenza. E grandissima riconoscenza a Matteo Garrone, che è un grandissimo regista, ha preso tutta questa materia e ne ha tirato fuori delle cose funzionavano rispetto alla sua poetica cinematografica. Il suo film è commovente e straziante, ed era la sua visione di Gomorra.

Poi è arrivata la serie, che ha e avrà il merito di entrare nelle viscere di questo grande corpo che Gomorra aveva raccontato. Ha avuto questa forza grazie alla macchina da guerra e alla visione strategica di Stefano Sollima e di chi ha lavorato insieme a lui, Comencini, Cupellini. Gomorra prevede molti registi, ma ogni regista ha avuto la sua visione, anche se poi il racconto è così fluido che non dà l’idea di un cambio di registro. E questo è bellissimo. Eppure, ad esempio Francesca Comencini entrava più nella psicologia femminile, raccontandola in modo molto reale, concreto, senza leziosità. Sollima è quello più epico, che racconta la visione d’insieme. Cupellini scavava nell’animo e nella parte più dark dei personaggi.

Ecco la cosa meravigliosa di Gomorr. Da Sky a Cattleya al gruppo di registi è proprio il fatto di aver creato questa macchina da guerra. Hanno lavorato tutti con l’obiettivo finale di raccontare una storia, e di farlo nel modo più reale possibile, perché è ispirata a situazioni reali. Quindi un racconto del reale, con grandi attori scelti con cura e con freddezza. Qualsiasi attore conosciuto sarebbe stato disponibile a fare Gomorra. E il merito è stato anche quello di aver scovato attori di teatro, soprattutto, perché ci voleva un modo diverso di affrontare questi personaggi.