Intervista a cura di Mirko Tommasino

Nel corso del terzo giorno del Napoli Comicon 2019, all’interno della splendida cornice del Grand Hotel Vesuvio si è tenuta una round table con Tom Cullen, attore che interpreta il personaggio di Landry nella celebre serie tv Knightfall. Nel corso della chiacchierata, Cullen ha condiviso con i giornalisti alcune curiosità riguardo l’esperienza ancora in corso sul set della serie prodotta da History, soffermandosi inoltre sul suo esordio da regista e sul suo rapporto con la produzione cinematografica italiana.

In apertura, l’attore ha raccontato come lui intenda in modo estremamente naturale la preparazione preliminare alla recitazione nelle serie con ambientazione storica, sia mediante la lettura di testi, sia tramite esperienze dirette, tutte operazioni volte a cogliere l’atmosfera di ciò che si va a rappresentare. In particolare, ha raccontato di quando si trovò a Parigi per andare in cerca di chiese e luoghi legati al dodicesimo secolo, trovandosi per puro a caso a pernottare proprio nel punto esatto in cui sorgeva uno degli edifici a cui era interessato. Sempre restando in tema di ricerca attoriale, Cullen ha parlato del peso del suo costume di scena, ventirè chilogrammi, e di come abbia scelto di indossarlo più del dovuto proprio per abituare il suo fisico a sostenere a tale sforzo, visto che all’inizio non era in grado nemmeno di camminarci.

Passando a uno dei temi centrali della serie, la religione, ha fatto un parallelo tra l’epoca in cui è ambientata Knightfall e i tempi moderni. Partendo dal fanatismo di Landry e dal suo auto flagellarsi, ha esaminato come la figura di Dio fosse, a suo tempo, una presenza costante nella vita di tutti, un concetto assoluto e onnipresente. In più, ha specificato come, al di là di questa cornice, l’intera storia della serie sia incentrata sulla complessità dell’umanità di Landry: il personaggio ha trascorso tre giorni a fissare il crocifisso con il terrore della morte, chiedendosi il senso delle sue azioni, come farebbe qualsiasi altro essere umano. Stando a quanto afferma l’attore, questa è una storia di redenzione, in particolare contro il machismo e la mascolinità tossica.

Noi di BadTV.it abbiamo avuto occasione di chiedergli se, dopo aver lavorato anche in altre serie ambientate nel passato come Downton Abbey e Gunpowder, avesse voglia di sperimentarsi in altri periodi storici o in qualche epoca futura legata al genere sci-fi. Questa la sua risposta:

Per me, è stato divertente aver partecipato a quei lavori. Quando accetto di lavorare a un titolo, lo scelgo perché mi piace la complessità del personaggio, sia di per sé, sia calato all’interno della storia. Il nostro passato ci insegna chi siamo e a cosa apparteniamo, ed è proprio questo che amo nelle storie. La mia esperienza umana è riflessa chiaramente in chi sono oggi. Proprio come nelle opere di Shakespeare, in Game of Thrones o in Vikings, anche uno show fantascientifico offre molto spazio per farci riflettere su chi o cosa siamo, lavorando in modo allegorico. Sì, sicuramente mi piacerebbe fare qualcosa ambientato nel futuro! Uno sci-fi.

Tornando poi a parlare della sua esperienza in Knightfall, Cullen ha evidenziato come la serie sia ambientata quindici anni dopo le Crociate, ovvero nel periodo discendente dei Cavalieri Templari, in cui si è voluto esplorare la mitologia legata alla fine della loro egemonia. Essi sono stati l’ordine europeo con più potere in assoluto, in grado di deporre re e regine. In più, ha esplicitato come la presenza del suffisso “fall” all’interno del nome esprima proprio quel senso di caduta e rovina, manifesto dei contenuti che sarebbero stati mostrati. Parallelamente, l’attore ha portato l’esempio della percezione della religione in Vikings e di come, anche lì, ci sia un legame con Dio molto forte.

Pur specificando che si tratta comunque sempre di intrattenimento, in cui l’accuratezza storica non è fondamentale, l’attore britannico ha enfatizzato come sia in primo piano l’interesse che si può suscitare nello spettatore. Secondo lui, la serie rappresenta un’opportunità per riflettere sulle Crociate e sulla condotta del Papa, il quale ha inventato una sorta di antesignano delle fake news creando una propaganda su cui ha imbastito duecento anni di guerre, mentre prima cristiani e musulmani non provavano un simile odio reciproco. Parlando, poi, nello specifico del suo personaggio, riguardo Landry ha affermato che non è un’entità storica, ma qualcuno che sarebbe potuto esistere in quel periodo.

Successivamente il discorso si è spostato sul suo lavoro da regista. Cullen ha parlato dei suoi genitori sceneggiatori, di come abbia sempre sognato di diventare un regista e di come la vita lo abbia portato a vivere prima l’esperienza di attore, per comprendere ciò che c’è dietro quel ruolo. L’opportunità di dirigere il suo film è arrivata tra le due stagioni della serie targata History: dopo aver proposto un pitch iniziale e aver elaborato un soggetto breve, gli fu comprato il progetto che poi sarebbe diventato il film Pink Wall, con un budget di circa centomila dollari e tre mesi di tempo per girarlo.

Vista la sua provenienza personale da una condizione molto umile, l’attore britannico ha raccontato la sua costante paura di perdere quanto di bello ha raggiunto, e di come il vero ostacolo alla realizzazione del suo sogno sia proprio egli stesso e il suo continuo mettersi i bastoni tra le ruote, mentre nel caso di questo film ha voluto crederci fino in fondo fin dall’inizio.

Parlando del film, che arriverà nelle sale americane nel corso di quest’anno, Cullen ha raccontato che si tratta di una storia basata sulle dinamiche relazionali, con sei scene che ritraggono ognuna un momento specifico della vita di coppia, montate in modo non lineare per simulare il meccanismo della memoria che fa rivivere a ognuno in modo emotivo tali esperienze.

Visto il suo essere ospite della fiera napoletana, com’era facile immaginare il discorso si è poi spostato sul cinema italiano e, nello specifico, su quello partenopeo. L’attore ha espresso apertamente il suo amore per le produzioni cinematografiche italiane, definite da lui stesso tra le migliori del mondo, e ha sottolineato come il cinema nostrano sia stato d’ispirazione per molti registi mondiali, portando l’esempio della magia presente nei film di Fellini. Lui stesso, nel suo lavoro sperimentale all’interno del cinema indipendente, è stato molto influenzato dal cinema nostrano. Quando gli è stato suggerito l’esempio di Gomorra, ha sottolineato proprio come quel realismo presente nelle nuove produzioni italiane sia qualcosa di rivoluzionario. Riguardo Napoli nello specifico, ha raccontato di essere stato cinque anni fa all’Ischia Film Festival, un’esperienza da lui definita molto bella.

L’ultimo argomento a essere stato toccato è stato lo streaming e la differenza tra la produzione di contenuti per la televisione generalista e quella dei servizi online. Cullen concorda con la posizione secondo la quale le piattaforme di contenuti in streaming abbiano cambiato il modo in cui è concepito il cinema. Secondo lui, però, questa cosa crea dei problemi, portando il caso proprio di Pink Wall, girato con l’idea della proiezione cinematografica. Secondo lui, vedere il film in sala, circondato da tanti estranei, è ancora un’esperienza di condivisione collettiva. Però, è positivo che lo streaming possa offrire degli spazi per i prodotti indipendenti, portandoli letteralmente a casa di milioni di persone in tutto il mondo.

Riguardo la produzione televisiva, secondo lui quello attuale è un periodo fantastico. Quando si lavora per una emittente nazionale è necessario fare prodotti per tutte le età, a largo spettro, e ciò potrebbe compromettere il processo creativo. Nei prodotti destinati allo streaming, invece, si identifica un target molto più preciso, rendendo le cose più emozionanti, senza compromessi.