L’arrivo di Hillary Rodham Clinton sul palco della Berlinale è uno scroscio di applausi. La sala dove è appena stata proiettata la serie documentaria Hillary (4 puntate da un’ora una dopo l’altra) è piena di supporter, fan o semplici appassionati conquistati da una cavalcata di 240 minuti nella storia, nelle vittorie, nelle sconfitte e nella lotta femminista della donna che più è andata vicina ad essere presidente degli Stati Uniti. È questo infatti il perno della serie documentaria: la lotta di una donna per cambiare la posizione di tutte le donne tramite il proprio atteggiamento, le proprie gesta e la maniera in cui si è proposta, mai un passo indietro, sempre in prima linea.

È anche quello che più di tutto riempie la vita di Hillary Clinton oggi: lavorare per stimolare il cambiamento, perché le donne abbiano più possibilità fino a che queste non saranno le stesse degli uomini.

Ai produttori (Robert T. Owens di Propagate Pictures) e alla regista Nanette Burstein il compito di raccontare come il documentario sia nato, poi lo spazio è tutto per Hillary.

OWENS: “È partito tutto da Bob Burnett, che prima ancora di parlarmi mi fa firmare un NDA, un accordo di non divulgazione, riguardo quel che mi sta per dire. Scopro così che esistono 250 ore di girato durante la campagna di Hillary Clinton del 2016 e che Hulu è interessata, vuole farci un film. Hillary stessa è della partita.
La vera fatica a questo punto è stata trovare la persona con la personalità giusta per dirigerlo, e proprio mentre cercavamo e ne parlavamo con Hillary pensavamo sempre di più che doveva essere più grande, più importante. Ne è uscita così un affresco femminista, una grande storia che apre gli occhi a tutti”.

BURSTEIN: “Doveva essere un dietro le quinte di quella campagna ma più mi informavo e più capivo l’importanza della sua storia. Doveva essere un insegnamento per tutti. Inoltre volevo che tutti vedessero Hillary Clinton senza difese e da subito, perché una delle critiche più ricorrenti è che non sembra una persona affabile ma non è vero e volevo farlo vedere. Per farlo ci sono volute 35 ore di intervista divise lungo sette giorni”

HILLARY CLINTON: “Devo dire che non avevo capito cosa intendesse Nanette quando mi disse di volermi coinvolgere. Non avevo capito che erano 35 ore su una sedia interrogata su tutta la mia vita da una persona che ha letto tutto ed è documentatissima.
La ragione per cui ho voluto fare questo documentario è che adesso non sono in corsa per niente, parlo molto e cerco di influenzare il paese in una direzione che migliori il futuro. Ci sono stati momenti difficili in queste interviste ma il punto era raccontare una vita a 360 gradi così che chi abbia voglia di guardarlo possa farsi un’idea dal dipinto completo invece che leggendo solo dei pezzi qua e là”

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Riguardo la sua difficoltà con l’essere popolare ha poi aggiunto

HC: “La verità è che sono sempre stata molto popolare quando ero al servizio di altri. Quando ho lasciato la segreteria di stato sotto Obama avevo un tasso d’approvazione del 79%! Ero la figura pubblica più amata ma lo so che quando di lavoro parlo per conto di un uomo è ancora un ambito di comfort per le persone. Quando invece faccio un passo avanti e comincio a fare campagna per il senato a modo mio oppure faccio campagna per la presidenza a modo mio, la gente diventa suscettibile e iniziano a giudicarmi con metri di paragone diversi da quelli degli uomini”.

La Berlinale ha firmato un accordo chiamato 50/50 by 2020 nel quale si impegnava a raggiungere la parità di registe selezionate per il 2020. Pensi sia una buona idea per la politica un 50/50 by 2024?

“Siamo in ritardo su qualsiasi fronte con il 50/50. Ruth Bader Ginsburg, una delle persone più importanti in assoluto quando si parla di barriere legali abbattute, quando le dissi che negli anni ‘70 nonostante lavorassi come avvocato non riuscivo ad avere una carta di credito a nome mio, mi rispose che non dobbiamo mai e poi mai chiedere più diritti per noi, dobbiamo pretendere gli stessi degli uomini. Ci stiamo arrivando ma ad oggi il nostro problema è il pregiudizio inconscio, il fatto che un politico donna che si agita sia considerata isterica e non un politico uomo che lo fa.
A lungo le orchestre americane erano formate solo da uomini e i direttori dicevano che ai provini non trovavano donne sufficientemente pronte. Quando poi hanno cominciato a fare provini al buio, senza vedere chi stesse suonando, le orchestre si sono riempite di donne”

NB: “Se eri ragazza negli anni ‘90 e volevi fare la filmmaker non avevi molti modelli. Ora qualcuno c’è. E in questo è stato importantissimo qualcuno come Hillary Clinton, una persona che volesse fare la first lady in maniera diversa dagli altri”.

Alla volte l’arte riesce a spostare in avanti certe idee in modi diversi dalla politica perché raggiunge altre persone. È questo quello che vuoi fare ora?

“Sì. Quella che combattiamo ora è una lotta non politica ma culturale. Ci sono forze che vogliono tornare indietro su molti passi avanti fatti in questi anni. Parlo di diritti per gli omosessuali, diritti per le donne e politiche sull’immigrazione. In America diciamo sempre che la cultura si mangia la politica a colazione.
Del resto creare energie negative è sempre la cosa più facile. Gli unici politici che negli ultimi 20 anni hanno vinto due elezioni (Bill Clinton e Barack Obama), l’hanno fatto puntando sulla speranza, volevano che la gente credesse di poter essere migliore e speravano in un futuro più inclusivo e sicuro. Quando invece vedi qualcuno mettere a segno punti politici mettendo bambini gabbia sul confine perché sa che migliorerà il tuo tasso d’approvazione, allora sai davvero a cosa ti stai opponendo”.

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