Damon Lindelof, dopo Lost, è ritornato a lavorare per il piccolo schermo come showrunner di The Leftovers, la nuova serie della HBO tratta dal romanzo scritto da Tom Perrotta che racconta quello che accade dopo che il 2% della popolazione scompare misteriosamente senza alcuna spiegazione.

In una lunga intervista rilasciata al New York Times, Lindelof ha raccontato di essere stato coinvolto nell’adattamento televisivo perché Michael Ellenberg, uno dei responsabili della tv via cavo, ha pensato a lui come possibile showrunner dopo aver collaborato in occasione della riscrittura di Prometheus e l’ha quindi proposto a Michael Lombardo, presidente della programmazione dell’emittente.

Nonostante avesse seguito Lost solo durante la prima stagione, Lombardo ha subito considerato Damon uno dei possibili candidati perché la serie della ABC aveva saputo creare un grande sostegno da parte dei fan dall’inizio alla fine.

Ellenberg ha quindi chiamato Lindelof, che avrebbe voluto avere un’occasione di ritornare a occuparsi di televisione dopo una lunga parentesi cinematografica, e ha chiesto se avesse letto The Leftovers.

A frenare un po’ l’entusiasmo di Damon è stato però quanto accaduto con Lost: dopo l’immenso successo ottenuto nel 2004 al debutto della serie, il finale è stato accolto in modo fin troppo negativo. Lo scrittore George R.R. Martin, in un’intervista rilasciata prima del debutto dell’adattamento televisivo di Game of Thrones, aveva persino spiegato che la sua paura più grande nell’avvicinarsi all’epilogo della serie era replicare quanto successo con lo show della ABC.

Lindelof ha provato a fingere che i commenti non lo toccassero concentrandosi sul fatto che lui aveva amato il finale ma non è riuscito in questo suo obiettivo perché sperava che tutti potessero apprezzarlo, capirlo e accettarlo.

L’articolo del New York Times ricorda che fino all’anno scorso la sua biografia su Twitter riportava: “Sono uno degli idioti che hanno creato “Lost”. E no, nemmeno io l’ho capito”. Gli insulti però erano troppi e persino un commento di lodi all’epilogo di Breaking Bad è stato in grado di scatenare una nuova ondata di attacchi negativi che l’hanno spinto a cancellare il suo account il 14 ottobre, la stessa data della misteriosa scomparsa al centro di The Leftovers.

Damon ha spiegato che per tre anni ha ascoltato le critiche e le ha accettate ma era stanco di farlo perché ne soffriva e nessuno sembrava interessato a quanto potesse ferirlo un commento.

Carlton Cuse, suo collega in Lost, ha sottolineato che Lindelof è una persona immensamente sensibile e lui stesso ha dovuto accettare il fatto che il finale non fosse piaciuto a tutti ma comprendeva il problema di Damon.

La popolarità della serie ha tuttavia permesso agli showrunner di ottenere una grande popolarità e ricevere nuove proposte pur dovendo fare i conti con l’espansione dell’utilizzo dei social media e le aspettative sempre più alte nei confronti dello show. Cuse ha accettato che molti degli spettatori più fedeli siano rimasti delusi e altri no, mentre Lindelof ha trovato difficile affrontare la complicata situazione:

“Quindi è con questo che sto convivendo. Non ho la sicurezza in me stesso o quello che serve a dire “bene, chi se ne importa di questi ragazzi”. Amo lo show e non cambierei nulla. Ma quello non è ciò che dico a me stesso. Sto pensando: dove ho sbagliato? Cosa posso imparare da Lost? Come posso evitare che questo accada di nuovo?”.

Il legame con Lost è stato grande anche perché nella sua mente si rispecchiava nel personaggio di Jack: un uomo che aveva appena perso suo padre e si ritrovava a dover essere un leader anche se non era pronto e non voleva farlo.

Il rapporto tra Damon e suo padre David è sempre stato complesso perché l’uomo ha lasciato lui e sua madre quando il futuro showrunner aveva solo undici anni, anche se il legame è migliorato un po’ con il passare del tempo sfruttando inoltre la comune passione per i fumetti e la fantascienza. David, però, non ha mai espresso esplicitamente i suoi sentimenti nei confronti del figlio e non ha mai detto ad alta voce di essere orgoglioso o fiero di lui. Damon per anni ha pensato che non lo ritenesse in grado di fare molte cose proprio perché non ne parlava mai apertamente.

Dopo aver studiato cinema alla New York University, Lindelof si è poi trasferito a Los Angeles e ha lavorato prima in un’agenzia e poi nell’ambiente degli sceneggiatori, dove leggeva i copioni e ha avuto modo di osservarne da vicino il lavoro.

A ventisette anni ha debuttato come assistente tra gli autori di Wasteland ed è stato rapidamente promosso, poi è passato ad occuparsi di Nash Bridges dove ha conosciuto Carlton Cuse.

Nel 2002 è morto suo padre e due anni dopo Damon ha iniziato a frequentare Heidi Fugeman, che ha sposato nel 2005 e con cui ha avuto un figlio. La moglie in quel periodo gli aveva suggerito di farsi aiutare da uno psicoterapeuta per affrontare la morte di David, ma Lindelof ha rifiutato il consiglio.

Poco dopo J.J. Abrams l’ha voluto nel team di Lost, dove le sue idee per il personaggio di Jack sono state subito accolte in modo favorevole. Quando J.J. è stato scelto per la regia di Mission: Impossible III ha affidato la serie proprio a Lindelof, nonostante avesse solo 30 anni e non fosse sicuro di se stesso.

Damon ha chiesto l’aiuto del suo amico Carlton Cuse e il successo del pilot, dopo cinque mesi di lavoro senza pausa, gli ha regalato una gioia immensa ma anche la consapevolezza che il pubblico e la critica avrebbero preteso che il livello fosse mantenuto alto per tutta la durata della serie.

La prima cosa che ha fatto Damon quando ha accettato di essere lo showrunner di The Leftovers è stata quella di riunire otto dei suoi sceneggiatori per riflettere sulle conseguenze di un evento come la scomparsa del 2% della popolazione mondiale sul mondo, sulle famiglie, sui singoli individui e sul concetto di religione e fede.

Lindelof ha sottolineato:

“The Leftovers non è uno show costruito per essere pieno di cliffhanger. Non è fatto per essere: o mio dio, dobbiamo immediatamente vedere il prossimo episodio. Ma allo stesso tempo è costruito in modo tale che, una volta finito un episodio, si abbia voglia di continuare a vedere lo show. In virtù di questo, stiamo cercando lo spirito di: Bene, cosa renderebbe qualcuno entusiasta del vedere The Leftovers questa domenica sera?”.

Damon si è allontanato dal romanzo per alcuni aspetti, come cambiare il lavoro del protagonista Kevin da sindaco a capo della polizia per permettergli di essere in prima linea e sottoposto a un enorme stress a causa delle reazioni emotive, spesso violente, da parte dei cittadini.

Gli sceneggiatori hanno impiegato un mese per parlare e discutere delle tematiche trattate nella serie e per costruire la mitologia alla base dello show.

Damon è molto a suo agio con il mistero, come molti degli autori coinvolti, e ogni giorno ha lavorato anche fino all’alba per controllare il montaggio delle puntate e verificare che tutto fosse esattamente come voleva, anche se non è stato ancora scritto o prodotto una puntata che lo abbia del tutto entusiasmato.

The Leftovers potrà contare su molti personaggi alle prese con conflitti interiori relativi al dibattito tra scienza e fede, sulla voglia di fare del bene in un mondo che rende difficile compiere delle buone azioni, e la stessa vita di Damon si può rispecchiare in un ragazzo che cresce in una casa in cui la lotta tra fede e pragmatismo distrugge la sua famiglia. Il padre del giovane, infatti, non sostiene mai il figlio e poi scompare. Il ragazzo, successivamente, si trasferisce nella camera del suo genitore, come accaduto nella vita reale a Lindelof.

Arrivato a metà della produzione della prima stagione di The Leftovers, Damon era ancora pieno di dubbi e non era sicuro di poter riuscire a portare a termine il compito affidatogli senza fallire, tuttavia ha voluto ritornare a vivere un’esperienza simile a Lost perché ama il settore e gli aspetti creativi necessari per dare vita a una serie televisiva.

Fonte: The New York Times