A casa tutti bene – La serie, il primo progetto seriale di Gabriele Muccino, è arrivato su Sky e già Muccino sta lavorando alla scrittura della seconda stagione. Non ha mai realizzato un progetto simile, così lungo, né ha mai affrontato alcuni dei temi con cui la serie flirta. L’abbiamo sentito al telefono in una pausa di scrittura giusto qualche giorno dopo la prima messa in onda della prima puntata.

La serie è già in onda: come sta andando?

“I numeri non li posso dire ma è partita bene e il rumor è buono, già dal secondo giorno di programmazione se non ho capito male i moltiplicatori sono migliori della norma, o almeno così mi hanno detto. Non ho mai fatto tv prima”.

Però intanto stai scrivendo già la seconda stagione. Già hai capito gli errori che non devi rifare?

“Confesso di aver faticato a comprendere il meccanismo di scrittura delle serie. Un film è diviso in tre atti (il primo introduce la vicenda, il secondo la mette in crisi, cioè disfa la linearità delle cose che pensavi si potessero svolgere in un modo, e il terzo chiude la vicenda) invece nella serialità non c’è il terzo atto. Dopo il primo episodio, che è il primo atto, è tutto un eterno secondo atto. Anzichè andare verso quella che è la chiusura naturale di una vicenda narrativa (arrivano i buoni e il cattivo soccombe) nella serialità la scrittura vuole sempre che non si chiuda questo giro, anche dove ci sono buoni e cattivi morto un cattivo ne arriva un altro, pensa a Breaking Bad quanto era efficace, pensi che i cattivi siano alcuni poi altri poi altri ancora”.

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Ti servirà aver imparato questa scrittura?

“È interessante, è diversa da come pensavo le storie. Ormai ho una forma mentis che mi fa pensare in tre atti, invece qui sto imparando qualcosa di nuovo. Per la seconda stagione però invece di aspettare le sceneggiature e rimetterci mano sto collaborando con gli sceneggiatori già in fase di trasformazione del soggetto di serie, scalettando ogni episodio così da capire se le vertebre sono giuste e se la struttura di quel racconto è funzionale. Sceneggiare così è più semplice e gli eventuali problemi li correggi a monte, invece che dopo come nella prima stagione, in cui ho scoperto tardi dei problemi di scrittura e ho dovuto riscrivere facendo le albe. Sono 8 episodi da un’ora, cioè 4 lungometraggi, e l’ammontare di informazioni che devi gestire è enorme, mi trovavo a dover usare tutti i neuroni possibili per poterla gestire veramente e non perdere nessun filo narrativo o trovarmi con un impoverimento della struttura narrativa che poi si traduce in episodi noiosi. Ho capito infatti quando veniamo annoiati da una serie: è quando le linee narrative di quell’episodio hanno perso tensione. La difficoltà quindi è mantenere le linee tensive sempre tese in un arco 4 volte più lungo”.

Come tutte le serie anche la tua ha un mistero, qualcosa che sta nel passato dei personaggi e che impieghiamo tutto il film a capire. Sembra un passaggio obbligato per le serie, ci sarà anche nella seconda?

“Tutto quello che è successo durante la prima stagione avrà delle conseguenze che vedremo nella seconda e i danni che questi personaggi un po’ alla deriva faranno sì che tutti paghino un prezzo altissimo per quello che è successo nella prima. Insomma non ci sarà il mistero ma ci sarà peggio di quello, non vado ad alleggerire ma sono forzato a spingere e facendolo li spingo tutti sul bordo di un precipizio”.

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I tuoi personaggi sono iracondi, passionali, alle volte proprio isterici ma mai violenti, al massimo lo sono contro se stessi, mai contro gli altri. Mi pare di capire che qui potrebbero passare ai fatti…

“Non voglio parlare di cose così lontane, che si vedranno tra un anno e mezzo, ma il meccanismo che mi ha guidato è quello che fa di Il padrino Il padrino, cioè Michael Corleone che vira e da il ragazzo che non ha niente a che fare con la sua famiglia, ne prende le redini. È l’espansione del nero che è dentro di noi e che, per una questione di sopravvivenza, viene fuori. Questo mi ha stimolato a pensare la seconda stagione, qualcosa che non ho mai raccontato così e mi diverte pensare di poter fare, parlo proprio di divertimento cinematografico: mettere lo strumento del linguaggio cinematografico al servizio di quella che è la deriva da black out”.

Quindi altra stagione e rimandi di nuovo la realizzazione di un nuovo film. Ma in testa ce l’hai? Di che film c’è bisogno adesso?

“Credo che ci sia bisogno di raccontare delle cose a cui questa serie mi sta portando, la voglia di buttare giù delle pareti che non credevo avrei mai voluto demolire, pareti del buonsenso. I miei personaggi nella loro impulsività e nelle nevrosi alla fine rimangono in un perimetro di legalità di facciata ipocrita che li mantiene sempre presentabili. Mi piacerebbe affrontare quel che va oltre questa linea, quando si diventa inaccettabili per la società perché qualcosa che ci porta a varcare la linea d’ombra. È un racconto che non ho mai fatto, forse mi ci sono avvicinato con Wolverine, a livello di progetto. Certo era un fumetto, tutta un’altra narrazione, ma aveva degli ingranaggi primari che esistono in tanti archetipi: homo homini lupus”.

Trovate tutte le informazioni su A casa tutti bene – la serie nella nostra scheda.