È stato uno degli sceneggiatori fondamentali della seconda stagione di Legion e adesso con Tales From The Loop, online su Prime Video a partire dal 3 Aprile, Nathaniel Harper tenta la strada del progetto personale. È una strana forma di adattamento di illustrazioni: Harper ha infatti preso le opere dell’artista Simon Stålenhag e il titolo di un art book da lui edito che oltre alle illustrazioni forniva una sorta di background narrativo ad esse, e ne ha fatto l’ossatura di serie antologica (o quasi).
Le illustrazioni mostrano paesaggi scandinavi contaminati da resti di tecnologie future. Elementi tipicamente svedesi, campagnoli o autostradali vengono incrociati con una specie di archeologia di fantascienza, mezzi e dettagli di una società futura che sembra essere crollata. Su tutto regna una grandissima mestizia, un senso continuo di sconfitta. Nell’idea dell’illustratore un esperimento sotterraneo chiamato il Loop ha scatenato queste contaminazioni.

In Tales From The Loop (la serie) ogni episodio racconta una storia diversa ma con personaggi ricorrenti, siamo sempre nella medesima cittadina e quindi spesso incontriamo le stesse persone, tutti sono influenzati da un macchinario che ha attivato il Loop. Sostanzialmente è una forza sconosciuta che, in questo futuro che pare tale solo a tratti (tutto è come nel nostro presente ma di quando in quando fanno capolino tecnologie future), rende possibile l’impossibile senza che nessuno lo sappia o ne sia al corrente. Paradossi temporali, slittamenti in altre dimensioni o previsioni del futuro, tutto influenza le vite dei personaggi in ogni puntata.

La prima domanda che abbiamo fatto a Nathaniel Harper allora è quella che logicamente viene in mente a tutti.

Quanto è stato importante Black Mirror nella concezione di questa serie?

“C’è una differenza tra questa serie e Black Mirror, qui siamo sempre nella stessa cittadina con un set di personaggi coerente e ricorrente e un’unica estetica. Invece Black Mirror aveva per ogni puntata un’estetica differente e un mondo differente. Tales From The Loop è uno show seriale che puoi vedere come una serie antologica ma alla fine ti fornisce il ritratto di un’intera cittadina e della gente che ci vive. C’è insomma un senso di realtà superiore. Alla fine hai la sensazione di aver visitato quella città, di conoscerla”.

Quanto sono effettivamente serviti i presupposti narrativi che Simon Stålenhag ha dato alle sue illustrazioni?

“Quei quadri li ho usati per creare storie che parlino di quel mondo, il mondo del Loop, della cittadina e di tutto quel che ne consegue, cioè i risultati di ciò che avviene sottoterra. Le illustrazioni sono riferimenti e uno scheletro, tutto il resto è mio”

La cosa curiosa è che questa è una serie di fantascienza ma le storie non sono di fantascienza, cioè hanno sempre un elemento fantascientifico che le scatena ma se lo levassimo quella storia la potremmo comunque raccontare, insomma non è indispensabile…

“Infatti la natura della serie non è proprio di fantascienza nel senso canonico, solitamente la fantascienza racconta ansie della società o rabbia o ammonisce. Io sono andato in un’altra direzione, con storie di individui che parlano di sentimenti che conosciamo. Sono storie che penso potrebbero esistere a sé, senza la cornice della fantascienza, ed è proprio l’obiettivo che mi ero posto: far sì che funzionassero anche fuori dalla cornice del genere. In tutto questo allora gli elementi fantascientifici servono ad amplificare l’emozione narrativa, sono dettagli visivi che rivelano qualcosa dei personaggi. È insomma la fantascienza che aiuta i personaggi, non i personaggi che fanno la fantascienza”.

tales from the loop

Le storie sono tutte diverse ma tempo e dimensioni parallele ricorrono…

“Si possiamo dire che ogni episodio prende un elemento diverso del mondo della fantascienza ma al cuore di tutto ci sono il tempo e come ogni persona lo esperisca diversamente lungo la propria vita. Però ecco non è una serie sui viaggi nel tempo”.

Nei tre episodi che ho visto mi ha fatto strano notare come, benché il mondo di Simon Stålenhag sia lì sullo schermo, non abbiate replicato nessuna delle sue illustrazioni. È stata una scelta?

“In realtà ogni puntata ha un’illustrazione di riferimento e dove possibile ho cercato di avvicinarmici, ma spesso ho dovuto in realtà prolungarle. Ad esempio c’è un robot che lui ha disegnato solo di spalle, noi abbiamo dovuto capire come potesse essere la parte frontale.
Oppure il Loop sottoterra Simon non l’ha mai disegnato e quello l’abbiamo creato noi da zero perché mi premeva farlo vedere subito, così che la serie non fosse presa per una serie piena di misteri e il pubblico non fosse ossessionato dallo scoprire cosa ci sia lì”

In che senso li avete dovuti creare voi? Simon Stålenhag non ha collaborato?

“Sì ci ha aiutato e spesso gli ho chiesto opinioni sulle nostre scelte. Ad esempio c’è un personaggio con un braccio bionico, lui non ne ha mai disegnati e io gli ho chiesto di farmi uno schizzo per farci capire come sarebbe un braccio bionico nel suo mondo. Lo stesso è accaduto per tanti altri elementi che lui generosamente ci ha disegnato e noi abbiamo realizzato. Invece il Loop l’ha disegnato il nostro scenografo Philip Messina ed è stata la sfida maggiore di tutte”.

Beh è incredibile che Simon Stålenhag non abbia voluto disegnare lui il concetto al centro di tutta la sua produzione!

“Non è proprio così. Il punto è che Simon lo immagina più come un acceleratore di particelle ma proprio non era quel che mi sembrava servisse, non era l’idea che volevo. Così abbiamo scelto di creare noi Eclipse, una specie di nucleo futuristico e antico al tempo stesso, ovviamente con il benestare di Simon”.

 

 

 

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