Regala molte soddisfazioni questo Homeland 2.0 che si permette il lusso di giocare dalla piccola e un po’ ingenua trovata di scrittura – una banale sostituzione di pillole – alla gestione del grande quadro internazionale, raccontando la fuga di un ostaggio sullo sfondo di importanti trattative internazionali. Lo fa con la consapevolezza di non voler né poter raccontare una verità che non sia romanzata, piegata sulle emozioni dei protagonisti che la vivono, e con la capacità di gestire il materiale riuscendo a creare un episodio che, se da un lato è solo una parentesi della grande storia, dall’altro intrattiene e tiene sulle spine come pochi.

La fuga di Saul dal luogo in cui è tenuto ostaggio da Haqqani e dai suoi, le trattative dei servizi segreti americani e dei pakistani, il tentativo di Carrie di salvare l’amico e mentore. In Halfway to a Donut nasce e muore nel giro di un’ora una “scorciatoia” che, a conti fatti, si rivela essere solo una strada ...