Esiste un piacevole senso di affermazione di sé nelle pieghe della storie che amiamo, dei personaggi che amiamo. Che possono, per un momento e dopo lunga ed estenuante fatica, vivere al di fuori delle catene della scrittura che li ha portati in un certo luogo, in un certo istante. Sono storie che ci danno esattamente ciò che volevamo nel momento in cui ne avevamo bisogno, non quando l’avevamo capito, ma solo dopo che tutto ciò che avevamo letto e vissuto fino a quel momento l’aveva giustificato. Westworld, che con le storie lavora a più livelli, non si ritira dal compito. Non l’ha mai fatto, in verità, anche quando sembrava che il groviglio della storia (delle storie) fosse talmente impalbabile da essere inesistente.

The Well-Tempered Clavier è allora affermazione di un sé collettivo, che richiama all’ordine tutti i personaggi dispersi in ogni tempo e in ogni luogo. Si tratta della pietra angolare assoluta, che tanto abbiamo imparato a conoscere nelle sue singol...