La cosa migliore di GLOW è sicuramente l’idea dello storytelling che si nasconde, ma nemmeno troppo, dietro il mondo del wrestling. Cioè l’idea che, per attirare l’attenzione degli spettatori ai quali i combattimenti e le coreografie non bastano, bisogna costruire dei ruoli dietro le persone che si muovono sul ring e che devono rappresentare schieramenti opposti ed estremi. Quando la serie di Netflix punta su questa idea, allora tira fuori le cose migliori della stagione, le idee di scrittura rappresentate bene da personaggi che si mettono in gioco a più livelli. Per il resto l’ultimo prodotto della piattaforma è per certi versi molto derivativo – vedremo meglio da cosa – e non irresistibile. Non che cerchi di esserlo a tutti i costi, si tratta di un prodotto che cade nella media tanto come proposta che come risultato finale.

GLOW è un acronimo. Sta per Gorgeous Ladies of Wrestling, circuito che negli anni ’80 metteva sul ring delle donne in uno scenario f...