House of Cards nasce sotto Obama, muore sotto Trump, e nel mezzo vive un ventaglio di possibilità che sono sempre il riflesso di una politica in divenire. Più seriosa e meno seria del dovuto (il che è un bene), e soprattutto della concorrenza fantapolitica di Homeland, ma anche nei momenti più difficili vittima di un affanno, di una continua rincorsa a modelli che deve rispecchiare, superare, tenendosi sempre ancorato alla sua storia. Non è facile. La creatura di Beau Willimon – da quest’anno non più showrunner – è difficile da chiudere in schemi rigidi. Uno show indefinibile per tempi privi di punti di riferimento: parodia? Satira? Thriller? Fantapolitica? Questa quinta stagione della serie Netflix – in Italia su Sky Atlantic – è da promuovere, ma per la prima volta ci troviamo a questionare il senso profondo dello show.

La storia in realtà è più semplice e schematica degli anni passati. Mentre ci si avvicina al voto presidenziale che vede contrapposti Frank Underwood e William ...