La considerazione secondo cui le stagioni somigliano sempre più spesso a lunghi film divisi in puntate ha di solito un’accezione positiva. Stagioni come la seconda di Luke Cage ci mostrano invece il rovescio della medaglia implicito in quella considerazione. Se un classico arco narrativo trova il suo senso in un percorso che si esaurisce, di solito, in due ore, impiantare quella impostazione su una struttura immensamente più lunga significa diluire la portata drammatica degli eventi. E, nonostante la moltiplicazione degli snodi narrativi, il gioco rischia di stancare molto presto. È ciò che accade con la seconda stagione di Luke Cage: qualche spunto interessante, un finale tutt’altro che scontato, ma sono piccoli fari che ci accolgono al termine di un’estenuante traversata nel mare di Harlem.

Come avvenuto per la seconda stagione di Jessica Jones, anche gli eventi di Luke Cage si riagganciano idealmente ai temi e allo stile della prima stagione. Quel che è accaduto in...